Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Fra gli elementi presuntivi semplici utilizzabili ai fini accertativi, purché gravi, precisi e concordanti, rientrano quelli relativi all’impiego di materiale di consumo, ove indicativi di rilevanti incongruenze tra costi e ricavi e, quindi, di attività non dichiarate o di passività dichiarate, secondo canoni di ragionevole probabilità. È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza 21 febbraio 2018, n. 4168, conformemente al proprio costante e pacifico orientamento in materia.
Il caso affrontato dalla Suprema Corte prende le mosse dalla notifica ad un odontoiatra di un avviso di accertamento analitico-induttivo ex articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, fondato sulla presunta esistenza di attività non dichiarate, stante la notevole discrasia fra i ricavi indicati in dichiarazione e l’entità del materiale di consumo utilizzato nell’esercizio della propria attività professionale (in particolare, il numero di guanti monouso adoperati).
La sentenza di secondo grado, impugnata dal contribuente, dichiarava legittimo l’accertamento analitico-induttivo de quo, sulla base della considerazione per la quale l’esistenza di una forte discrepanza fra i materiali di consumo utilizzati e gli introiti indicati nella dichiarazione sottoposta a rettifica si configura come un presupposto che legittima la tipologia di accertamento adoperata, essendo qualificabile come una presunzione grave, precisa e concordante.
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