Di Angelo Ginex, Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Avvocato, Ginex & Partners Studio Legale Tributario
Nel corso del processo tributario, non è possibile modificare, cambiare od integrare la motivazione dell’atto impositivo oggetto di impugnazione. È questo il principio sancito dalla Suprema Corte con sentenza n. 6103 del 30 marzo 2016, conformemente al consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi in materia.
Ciò, sulla base della considerazione per la quale deve ritenersi, alla luce di quanto disposto dagli artt. 42 del D.P.R. 600/1973, 56 del D.P.R. 633/1972, 7 della L. 212/2000 e 7 del D.Lgs. 546/1992, che la motivazione dell’atto tributario assolve alla fondamentale funzione di segnare i confini della materia da contendere, individuando per definizione i presupposti di fatto e di diritto alla base dell’imposizione tributaria, la conoscenza dei quali è necessaria al contribuente per poter strutturare la sua difesa durante il processo tributario.
Con la pronuncia in commento, dunque, la Corte di Cassazione ha sottolineato l’importanza del divieto di “mutuato libelli”. Con tale espressione si vuole indicare il divieto, in capo all’Amministrazione Finanziaria, di avanzare una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, nel corso del processo tributario e, quindi, di cambiare le motivazioni poste a fondamento della propria domanda, contenuta nell’atto impositivo oggetto di impugnazione.
Concludendo, quindi, deve ritenersi, alla luce dell’insegnamento della Suprema Corte, che le motivazioni poste alla base dell’atto impositivo segnano i confini del giudizio tributario, e quindi non risultano essere suscettibili di alcuna modifica o integrazione durante il processo.
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